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E se Beethoven fosse nato a Damasco?
Il linguaggio dei segni in lingua araba
Immaginiamo per un momento che Ludwig van Beethoven, con il suo straordinario talento compositivo e la sua sordità, fosse nato nella Damasco di oggi. Come farebbe a farsi conoscere? A comunicare la propria musica al mondo?
Beethoven, nato nel 1770 a Bonn, in Germania, ha vissuto in un’epoca in cui la musica si diffondeva tramite partiture scritte, esecuzioni dal vivo e una rete sociale fatta di mecenati, musicisti e aristocratici. La sua sordità progressiva, che lo isolava dal mondo sonoro, non gli ha impedito di comporre capolavori che oggi conosciamo ovunque, ma gli ha certo creato un limite enorme nel comunicare con chi non conosceva la sua arte.
Ora trasferiamo questa situazione a un contesto completamente diverso: la Damasco contemporanea, in Siria, con la sua complessità linguistica, culturale e sociale. Certo, la tecnologia moderna potrebbe offrirgli strumenti inimmaginabili per l’epoca: uno smartphone sempre a portata di mano, un canale YouTube per condividere i suoi brani, intelligenza artificiale per trascrivere le melodie direttamente dal suo pensiero o dalle vibrazioni interne. Potrebbe comporre sul tablet, registrare in autonomia, raggiungere un pubblico globale in pochi secondi. Ma davvero basterebbe?
Per vivere davvero la sua musica e il suo tempo, Beethoven avrebbe bisogno di molto di più. Dovrebbe entrare in banca per aprire un conto, andare in comune o in prefettura per ottenere documenti, relazionarsi con uffici pubblici, magari anche con un tribunale per questioni legate ai diritti d’autore. A ogni passaggio, si troverebbe davanti a ostacoli fatti di burocrazia, formalità e soprattutto… linguaggio.
Qui la sfida si fa ancora più complessa. Beethoven, nato e cresciuto in un contesto germanofono, avrebbe ora davanti a sé la difficoltà di usare la lingua araba, un idioma ricco di complessità grammaticali e di significati profondi, molto diverso dalla sua lingua madre. Per una persona sorda o sordo-muta, apprendere e usare la lingua araba parlata e scritta rappresenterebbe un ulteriore ostacolo, perché il linguaggio dei segni è poco riconosciuto e spesso ignorato, così come lo erano in Europa ai suoi tempi.
E poi, se volesse esibirsi, dovrebbe trattare con impresari teatrali, manager, agenzie di comunicazione, tecnici del suono, sponsor?
Immaginiamolo durante una prova in un piccolo teatro di Damasco. Il tecnico del suono gli fa segno che ci sono problemi con l’acustica della sala. Il ritorno in cuffia è troppo alto, il microfono degli archi distorce. Beethoven non sente nulla di tutto questo. Tenta di comunicare con gesti, ma il tecnico – che non conosce la lingua dei segni araba né sa come relazionarsi a una persona sorda – fraintende completamente. Il risultato è una prova interrotta, un clima di frustrazione crescente e una comunicazione che si riduce a uno scambio confuso di sguardi e fraintendimenti. Anche la scrittura diventa problematica: Beethoven utilizza i caratteri arabi scritti da destra a sinistra mentre il tecnico quelli latini con un sistema opposto di orientamento che complica ulteriormente ogni tentativo di esprimersi. In un mondo dove la musica si muove attraverso le parole e i contatti, la sua sordità diventerebbe un limite non tanto fisico, quanto sociale e comunicativo.
Un interprete specializzato in lingua araba e linguaggio dei segni potrebbe essere il suo tramite: la voce che traduce, il ponte che unisce, quel numero di telefono che gli permetterebbe di non rimanere mai in silenzio, neppure in una sala riunioni, in un ufficio pubblico o dietro le quinte di un teatro. Potrebbe inoltre utilizzare l’ISL, International Sign Language, il linguaggio dei segni internazionale, al fine di facilitare il superamento delle barriere linguistiche.
Perché la genialità ha bisogno di una voce e noi siamo qui per offrirgliela.
Tradurre non è solo cambiare le parole. È permettere alle persone di esserci.
Perché il talento non deve mai restare inascoltato: nessuna lingua, nessuna condizione deve diventare un ostacolo.
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E se Beethoven fosse nato a Damasco?
Il linguaggio dei segni in lingua araba
Immaginiamo per un momento che Ludwig van Beethoven, con il suo straordinario talento compositivo e la sua sordità, fosse nato nella Damasco di oggi. Come farebbe a farsi conoscere? A comunicare la propria musica al mondo?
Beethoven, nato nel 1770 a Bonn, in Germania, ha vissuto in un’epoca in cui la musica si diffondeva tramite partiture scritte, esecuzioni dal vivo e una rete sociale fatta di mecenati, musicisti e aristocratici. La sua sordità progressiva, che lo isolava dal mondo sonoro, non gli ha impedito di comporre capolavori che oggi conosciamo ovunque, ma gli ha certo creato un limite enorme nel comunicare con chi non conosceva la sua arte.
Ora trasferiamo questa situazione a un contesto completamente diverso: la Damasco contemporanea, in Siria, con la sua complessità linguistica, culturale e sociale. Certo, la tecnologia moderna potrebbe offrirgli strumenti inimmaginabili per l’epoca: uno smartphone sempre a portata di mano, un canale YouTube per condividere i suoi brani, intelligenza artificiale per trascrivere le melodie direttamente dal suo pensiero o dalle vibrazioni interne. Potrebbe comporre sul tablet, registrare in autonomia, raggiungere un pubblico globale in pochi secondi. Ma davvero basterebbe?
Per vivere davvero la sua musica e il suo tempo, Beethoven avrebbe bisogno di molto di più. Dovrebbe entrare in banca per aprire un conto, andare in comune o in prefettura per ottenere documenti, relazionarsi con uffici pubblici, magari anche con un tribunale per questioni legate ai diritti d’autore. A ogni passaggio, si troverebbe davanti a ostacoli fatti di burocrazia, formalità e soprattutto… linguaggio.
Qui la sfida si fa ancora più complessa. Beethoven, nato e cresciuto in un contesto germanofono, avrebbe ora davanti a sé la difficoltà di usare la lingua araba, un idioma ricco di complessità grammaticali e di significati profondi, molto diverso dalla sua lingua madre. Per una persona sorda o sordo-muta, apprendere e usare la lingua araba parlata e scritta rappresenterebbe un ulteriore ostacolo, perché il linguaggio dei segni è poco riconosciuto e spesso ignorato, così come lo erano in Europa ai suoi tempi.
E poi, se volesse esibirsi, dovrebbe trattare con impresari teatrali, manager, agenzie di comunicazione, tecnici del suono, sponsor?
Immaginiamolo durante una prova in un piccolo teatro di Damasco. Il tecnico del suono gli fa segno che ci sono problemi con l’acustica della sala. Il ritorno in cuffia è troppo alto, il microfono degli archi distorce. Beethoven non sente nulla di tutto questo. Tenta di comunicare con gesti, ma il tecnico – che non conosce la lingua dei segni araba né sa come relazionarsi a una persona sorda – fraintende completamente. Il risultato è una prova interrotta, un clima di frustrazione crescente e una comunicazione che si riduce a uno scambio confuso di sguardi e fraintendimenti. Anche la scrittura diventa problematica: Beethoven utilizza i caratteri arabi scritti da destra a sinistra mentre il tecnico quelli latini con un sistema opposto di orientamento che complica ulteriormente ogni tentativo di esprimersi. In un mondo dove la musica si muove attraverso le parole e i contatti, la sua sordità diventerebbe un limite non tanto fisico, quanto sociale e comunicativo.
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Traduttori e interpreti esclusivamente di
madrelingua, con pluriennale esperienza, specializzati per settori, selezionati a garanzia di qualità, serietà e riservatezza.
l team è composto da un gruppo consolidato, formato da più di trenta collaboratori in grado di soddisfare esigenze personalizzate del cliente sia per quanto riguarda il settore di riferimento, sia per le caratteristiche linguistiche. Possiedono certificazioni e lauree conseguiti in Italia e all’estero e sono in grado di garantire un elevato standard di qualità.
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